L’ECO DI BERGAMO
February 8, 2003
Bergamo recital
Dopo le bizzarrie eccentriche di Francesco Tritano Schlimé, il russo Oleg Marshev ha ricondotto il pubblico della Società del Quartetto, presente in buon numero (circa duecento spettatori), a un pianismo secondo coordinate più consuete.
Il virtuoso russo ha articolato la sua serata in due parti abbastanza chiaramente distinte, una “occidentale” se così si può dire, l’altra destinata agli autori della sua terra. Nella prima è emerso parimenti un volto per così dire “accademico” del pianista, attento a rispettare con cura quasi “didattica” gli elementi stilistici e tecnici dei vari Haydn, Czerny e Brahms; nella seconda invece il “fuoco” di una adesione interiore istintiva e appassionata ha caratterizzato le interpretazioni da specialista fuoriclasse le pagine di Shostakovich e Prokofiev.
Alla base di ogni esecuzione, è quasi inutile dirlo, sta una solidità e una sicurezza tecnica di prim’ordine, quale il pianista di Baku ha abituato il pubblico da tempo, anche quello bergamasco che ha già avuto modo di conoscerlo e apprezzarlo. Però nella Sonata di Haydn il tocco, le scelte stilistiche, ancorché esatte e stilisticamente forbite, seguivano la tranquilla strada interperativa dell’equilibrio e della limpidezza formale, senza insinuare anche solo la sensazione di un’esplorazione stilistica che al tempo di Haydn non era scontata e come ci appare oggi.
In fondo nella interpretazione di Marshev, Haydn non era lontano dal successivo Czerny, con le sue Variazioni fondate soprattutto sul piacere di soluzioni virtuosistiche più che sui contenuti compositivi, divertenti per le ricerche “bravuristiche”, che il nostro interprete ha snocciolato con impeccabile puntualità. Tendenzialmente “accademiche” – per quanto il contenuto sia di ben altra portata – sono state anche le Variazioni-Paganini (II libro) di Brahms, risolte con intelligente dosaggio dei rischi, e non scevre da qualche imprecisione assoltamente perdonabile.
Quasi trasformato per l’adesione interpretativa appassionata e vissuta, erano invece i sarcasmi, il lirismo detto nonostante un vano tentativo di negarlo, gli sberleffi ruggenti e selvaggi non meno che appassionati e teneri, che si trovavano nei Preludi dell’op. 34 di Shostakovich e nella Sonata n. 6 di Prokofiev, dove il tecnicismo era sostanza di una poetica ruvida e focosa. Una carica che anche i due fuoriprogramma (Rachmaninov e ancora Prokofiev) hanno ribadito tra l’entusiasmo caloroso e meritato dei presenti.