L’ECO DI BERGAMO 98

L’ECO DI BERGAMO
February 1998

Oleg Marshev, virtuosismo con rigore

Il pianista suona per il Quartetto, convince con la sua abilità tecnica ma colpisce soprattutto per la lucida capacità di dominio del suono.

Per Oleg Marshev la musica eseguita sembra davvero essere una continua, fantastica rincorsa verso il limite. Un limite che egli pone bene in alto, quando lo si valuti semplicemente dalle scelte e dall’articolazione del suo programma, interamente giocato, nella fattispecie, su compositori più o meno famosi aventi come centro di riferimento Franz Liszt.

Un limite che sembra ancora più lontano e irraggiungibile quando a farcene percepire la reale dimensione è lui, con quel suo pianismo fatto di grande virtuosismo, di rigoroso e grandioso culto del suono e di intelligente e pertinente consapevolezza interpretativa. Martedì sera, presso l’Auditorium del Collegio S. Alessandro (quarto appunto della 94a Stagione della società del Quartetto), il trentasettenne russo ha così ribadito che, posto di fronte a siffatto repertorio può vantare di avere ben pochi rivali in grado di competere con lui sul piano della tecnica pura, posta magistralmente al servizio della logica e della pertinenza interpretativa. A stupire immediatamente e senza riserve sono la facilità e la naturalezza della sua manualità e la completezza del suo virtuosismo (nelle agilità, nella forza, nell’ampiezza delle risorse tecniche possedute, nella perfetta articolazione dei suoni in ogni frangente e per ogni tipo di difficoltà). Ma con altrettanta immediatezza colpisce e convince lasua lucida e consapevole capacità di dominio del suono, esplorato, reinventato e proposto attraverso una gamma infinita di timbri e di colori, una dinamica di straordinaria ampiezza ed una concezione strumentale capace di portarsi ben oltre i consolidati limiti pianistici, verso dimensioni quasi orchestrali. E a convincere definitivamente è la sua abilità nel fare di queste doti non un mezzo di espressione fine a se stesso, ma uno strumento estremamente duttile al servizio di una ricerca interpretativa in grado di sondare con rara pertinenza ed efficacia ogni pagina eseguita. Si era di fronte ad un programma di sapore tendenzialmente virtuosistico (con Liszt e Prokofiev in primo piano, accompagnati da Siloti, Von Sauer e Pabst che, con diverse connotazioni personali, si rifacevano in gran parte al pianismo lisztiano). E in questa direzione il pianismo di Marshev si è mosso ovviamente con eccezionale autorevolezza. Ma le raffinate e suggestive atmosfere sonore ricreate dal pianista russo soprattutto in Prokofiev e Siloti, la chiarezza trasfigurativa del suo eloquio nei riguardi degli ampi percorsi narrativi lisztiani e la pienezza espressiva del suo edificio interpretativo anche nei confronti delle pagine forse meno “rilevanti” (Von Sauer e Pabst), hanno dato la misura forse più convincente delle sue eccezionali potenzialità pianistiche. Che ci piacerebbe verificare anche su altri percorsi, ma che hanno comunque conquistato e appassionato il pubblico del Quartetto.

Gianluigi Gonnella